di PASQUALE ANNICCHINO –
Mentre tutti gli occhi degli osservatori sono puntati sugli Stati Uniti e sul datagate che ha coinvolto Facebook, arriva dalla Russia un’importante decisione della Corte Suprema con la quale si chieda alla società di messaggistica di consegnare le proprie chiavi di cifratura ai servizi di sicurezza (FSB). Telegram era ricorsa in giudizio contro una legge antiterrorismo del 2016 (legge Yarovaya), già fortemente criticata dagli attivisti per i diritti civili, secondo la quale ogni servizio di messaggistica deve fornire le proprie chiavi di cifratura all’FSB. Secondo gli avvocati dell’FSB non vi è alcuna intrusione nella privacy degli utenti in quanto la mera richiesta delle chiavi di cifratura non garantisce l’accesso alle conversazioni degli utenti essendo comunque necessaria per accedervi l’autorizzazione di un giudice. Come ha sostenuto Ramil Akhmetgalive, avvocato di Telegram, è un po’ come dire “Ho la password della tua email, ma non ho il suo controllo. Ho solo una possibilità di controllo”. Il Roskomnadzor, l’ente federale russo che controlla i media, ha già avvisato che in caso di mancato adeguamento di Telegram a quanto stabilito dai giudici sarà possibile il blocco di Telegram in tutto il Paese. I conflitti tra Telegram e i servizi di sicurezza russi non sono recenti. Già dopo gli attentati del 2017 alla metropolitana di San Pietroburgo era emerso che gli attentatori avevano comunicato tramite Telegram e lo scorso anno, per aver rifiutato di fornire le chiavi di cifratura, Telegram aveva già ricevuto una multa di 14 mila euro.
Come anticipato dal Roskomnadzor, nel caso in cui i vertici di Telegram decidessero di non consegnare le chiavi crittografiche il servizio rischia la chiusura, almeno temporanea, in Russia. Non sarebbe infatti possibile per le autorità russe incidere sull’operatività di Telegram su scala globale. Questo è anche il risultato dell’infrastruttura distribuita di cui si è dotata Telegram e che contribuisce a tutelare i dati non coperti dalla crittografia end-to-end. Infatti i dati delle chat cloud sono distribuiti in data center localizzati in diversi Paesi e controllati da diverse entità legali a loro volta soggette a diverse giurisdizioni. Per attaccare questa struttura sono quindi necessari provvedimenti di diversi tribunali di diverse giurisdizioni. Questa vicenda si inserisce in un periodo particolarmente delicato per Telegram in quanto vi è anche la possibilità di utilizzare l’attuale controversia con le autorità russe anche in chiave di posizionamento di mercato vista l’imminente Initial Coin Offering che ha già raccolto 850 milioni di dollari e con la quale si vuole lanciare il Telegram Open Network (TON) un ecosistema digitale modellato sul già esistente Ethereum. Forse è anche per questo che i suoi titolari annunciano una battaglia nel nome della tutela della privacy.
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