Al giorno d’oggi le notizie e le informazioni sono alla portata di tutti: televisioni, riviste web, smartphone, social network. Sebbene tutto ciò rappresenti una possibilità di informazione per tutti, tuttavia vi sono profili controversi.
È infatti tutt’altro che teorico il rischio che tra l’ingente quantità di notizie si nascondano, o meglio vengano diffuse, le cosiddette fake news. Con tale espressione ci si riferisce alle notizie false, quelle che vengono trasmesse e condivise da milioni di persone, su qualunque argomento.
La pericolosità di queste notizie non si limita solamente ad ostacolare la genuina circolazione della veridicità delle informazioni – si pensi all’esito di una seduta parlamentare, oppure (purtroppo con accenno ai tempi attuali) alle ultime scoperte in campo medico –, bensì si estende alla strumentalizzazione della disinformazione, capace di insinuarsi tra i milioni di dispositivi elettronici alla portata di tutti.
Il problema che nasce dalla diffusione di fake news, capace di influenzare l’opinione pubblica su temi di rilievo quali la politica e la sanità pubblica, è tutt’altro che una congettura: vi sono fonti esterne che diffondono la propaganda portando avanti un’attività di debunking e controinformazione.
Principalmente si tratta di media russi finanziati o vicini al Cremlino con ampia diffusione in Europa e, più di recente, di attori cinesi legati al regime di Pechino. Sono stati svelati veri e propri progetti di propaganda di Stato, come il russo Secondary Infektion.
Le fake inventate al di fuori dell’Unione sono capaci di entrare nel dibattito pubblico europeo tramite il Web, social e chat contando sull’appoggio di soggetti politici e non, come partiti populisti o ambienti complottisti; il problema si estende fino ad arrivare a influenzare affermazioni e scelte dei politici, più o meno consapevoli di essere strumento della propaganda straniera
Già nel 2015 l’Unione Europea ha iniziato a comprendere quanto la sfida alle fake news fosse decisiva per la stessa sopravvivenza delle democrazie occidentali e per l’avanzamento dell’integrazione europea. L’allora Alto rappresentante per la politica Estera, Federica Mogherini, creò una specifica task force (East StratCom) contro la disinformazione in seno al servizio esterno della Commissione europea con un sito molto attivo: EuVsDisinfo. Da allora gli analisti di Bruxelles hanno portato avanti un poderoso lavoro per svelare le fake news.
Nel 2018 la Commissione europea ha fatto un passo avanti, definendo un approccio di contrasto capace di coinvolgere l’intera società rafforzando la cooperazione tra autorità pubbliche, giornalisti, ricercatori, verificatori di fatti, piattaforme online e società civile. Tassello della strategia, spingere le piattaforme a scrivere il Codice di buona condotta sulla disinformazione nel nome dell’autoregolamentazione, primo e unico testo di questo genere a livello planetario. Il Codice ha avuto buoni risultati, ma non è stato del tutto soddisfacente. Tanto che Bruxelles potrebbe tornare sul tema rendendo obbligatorie le regole con il Digital Service Act atteso entro fine anno.
A marzo 2019 l’Europa ha poi creato un sistema di allarme rapido sui fenomeni di disinformazione per permettere a istituzioni Ue e governi di rispondere in modo coordinato alle campagne di fake news straniere. Una cooperazione simile è stata lanciata a livello di G7 e di partner Nato.
Lo scorso 10 giugno, la Commissione europea ha pubblicato una Comunicazione firmata dall’Alto rappresentante per la politica Estera, Josep Borrell, con l’allarme “Infodemia”, accusando Cina e Russia di spargere notizie false in Europa per aggravare l’impatto del Covid con l’obiettivo di indebolire le istituzioni democratiche del Continente.
Insomma, i media – considerati dall’Unione il vero baluardo contro la disinformazione in ultima analisi per difendere la democrazia librale – devono controllare l’operato dei politici e fornire un’informazione corretta al pubblico.
Il prossimo e potenzialmente decisivo salto di qualità nella lotta alla disinformazione potrebbe dunque arrivare con il Digital Service Act, poderoso intervento legislativo ad ampio spettro sul mondo online che la Commissione Ue dovrebbe approvare in autunno. Conterrà nuovi passi avanti sul rapporto tra mezzi di informazione e piattaforme, in modo da garantire (anche oltre la direttiva sul copyright) che i giganti della Rete non prosciughino le risorse finanziarie dei media sfruttandone i contenuti ma incassando in proprio profitti in pubblicità e dati.
Probabilmente si occuperà anche di propaganda malevola, di fake news che distorcono dibattito politico e funzionamento della democrazia in Europa. Bruxelles pensa alla svolta e studia come rendere obbligatorio, per sfuggire all’adempimento su base volontaria, il Codice di condotta per le piattaforme. Si immaginano sanzioni per piattaforme e social che non contrastano l’informazione palesemente falsa. Una strada potrebbe essere quella della demonetizzazione dei siti che ospitano e diffondono le fake, ovvero dell’obbligo di stop alla vendita sulle loro pagine web di spazi pubblicitari in capo a piattaforme e aziende. Le quali sarebbero sanzionate in caso di mancato ottemperamento.
Si pensa anche ad un meccanismo che obblighi i padroni della Rete, da Google a Facebook, a condividere i dati su flussi e percorsi della disinformazione in modo da rendere possibile un intervento per contrastarla. Infine si potrebbe rinforzare il sistema del ranking, ovvero la retrocessione in fondo a motori di ricerca e social dei siti palesemente spacciatori di bufale malevole.
Intanto si muove anche il Parlamento europeo, con l’aula che il 19 giugno ha lanciato con 548 voti a favore, 83 contrari e 56 astensioni una commissione speciale proprio sulla disinformazione. Il mandato è di identificare le aree che potrebbero richiedere azioni legislative e non legislative nei confronti di piattaforme e social media, un ulteriore coordinamento a livello Ue per affrontare le minacce ibride e contrastare campagne di informazione lanciate da paesi terzi per danneggiare l’Unione. Il lavoro della commissione durerà un anno (prorogabile).
Fonte: www.repubblica.it
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