Quanto disposto dal Ministero indiano dell’Elettronica e dell’Informatica nei giorni scorsi aiuta a porre l’attenzione sull’ingente quantità di traffico dei dati personali sugli smartphone sulla loro importanza.
L’India è uno dei Paesi a maggior propensione mobile al mondo e la sua decisione di bannare grandi colossi delle applicazioni mobili cinesi quali TikTok, WeChat, per citare i più conosciuti, ha causato una grande eco.
La motivazione? Queste piattaforme, stando a quanto riportato, sarebbero in grado di svolgere “attività che pregiudicano la sovranità e l’integrità dell’India, la sua difesa interna, la sicurezza dello Stato e l’ordine pubblico”.
Come? Tramite una strumentalizzazione dei dati personali che finiscono nella rete e, in special modo, negli archivi di chi possiede le applicazioni mobili installate sui nostri smartphone.
Al di là delle motivazioni politiche, sociali, culturali, ma soprattutto e purtroppo belliche, che hanno spinto le Autorità indiane ad adottare una linea così drastica nei confronti dei produttori cinesi di mobile app, è utile soffermarsi a pensare quanto possa essere grande il timore di una nazione di poter essere “controllata” tramite un accesso virtuale da chi detiene le informazioni virtuali o, per meglio dire, i dati personali di milioni di individui.
Basti pensare che le applicazioni di social network, per citare la categoria più diffusa, sono scaricate da milioni di persone in tutto il mondo. Secondo i dati forniti da SensorTower lo scorso aprile, il 30% dei 2 miliardi di download di TikTok è localizzato proprio in India. Un numero veramente importante, insomma.
Il rischio di un utilizzo improprio dei dati personali di un numero così consistente della popolazione di una nazione da parte di chi detiene il controllo degli stessi è ancora più ampio se si considerano tutte le applicazioni dei nostri smartphone; esse sono in grado di tracciare in ogni istante la nostra posizione, gli acquisti online effettuati, le prenotazioni, le nostre abitudini. Certo, tutto ciò è oggetto di legittimo ed informato consenso da parte di chi effettua l’iscrizione, tramite però un veloce flag della casella “acconsento al trattamento dei dati personali”.
Ma se si configurasse l’ipotesi del verificarsi di scontri bellici proprio come quelli accaduti in prossimità del confine conteso sulle montagne dell’Himalaya tra le forze di sicurezza indiane e quelle cinesi, scontro in cui hanno perso la vita una ventina di soldati indiani, motivo per cui le Autorità indiane hanno messo al bando le applicazioni mobili dei produttori cinesi, la grande quantità di dati personali che tali produttori detengono è veramente al sicuro da ogni utilizzo improprio?
A dimostrazione che la situazione sia tutt’altro che astratta vi è il fatto che anche l’Unione Europea ha preso posizione in merito, istituendo una “task force” per investigare sulla conformità delle pratiche della piattaforma Tik Tok alle norme previste dal Gdpr.
L’eco della notizia, o per meglio dire della preoccupazione, è infatti risuonata nella 31esima riunione plenaria dell’European Data Protection Board (Edpb), ente che si occupa di sorvegliare sul corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei loro derivati, il quale avrebbe adottato delle linee guida improntate alla tolleranza zero, “in particolare per quanto riguarda il trasferimento di dati personali a paesi terzi, le condizioni sostanziali e procedurali per l’accesso ai dati personali da parte delle autorità pubbliche o l’applicazione dell’ambito territoriale del Gdpr, specie in relazione al trattamento dei dati di minori”.
Si aggiunga infatti questo: la maggior parte dei dati sensibili, si pensi ai dati biometrici quali la ripresa del volto, appartengono a minori, la cosiddetta “generazione Z”.
Qualora il team incaricato dall’UE dovesse rilevare pratiche di utilizzo dati personali non conformi, avrà piena facoltà di proporre provvedimenti nei confronti dell’imprenditore digitale ByteDance, detentore della piattaforma TikTok.
Fonti: www.ilsole24ore.com e www.ilcorriere.it
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